^^Achille Pelide.

 

Per un profilo di Achille

 

Per comune riconoscimento di compagni e avversari Achille è «il migliore degli Achei». Tutto in lui – nascita, forza, bellezza, coraggio – esprime eccellenza e perfezione; perfino i suoi cavalli sono migliori di quelli degli altri guerrieri (II 770 s.). Se in particolari circostanze, e specialmente nel momento della loro ‘aristia’ (la loro giornata di successi marziali), anche altri campioni (Diomede, Agamennone, Aiace) possono distinguersi per valore e meritarsi la definizione di «migliore degli Achei», è attraverso la figura di Achille che il narratore tiene insieme la complessa trama del poema costruendo una curva – curva interiore e curva di eventi – che attraverso la lite con Agamennone, il ritiro dalla battaglia, il pianto per l’amico caduto, il ritorno alla lotta, la vendetta su Ettore e la restituzione della salma di Ettore scandaglia gli aspetti cruciali della cultura eroica, dei sentimenti e dei valori che nella tensione delle forze in campo sprigionano scintille che illuminano i nodi salienti del racconto. Figlio di una dea ma condannato a breve esistenza, Achille rinuncia al ritorno in Tessaglia e a una vita tranquilla (una vita che però nell’oltretomba rimpiangerà amaramente, cfr. Odissea XI 478 ss.: «vorrei essere un bracciante piuttosto che dominare su tutti i defunti...»), ma conquista una gloria imperitura (cfr. IX 413: «è perduto il ritorno, ma imperitura sarà la mia gloria»). Più che un’aspirazione alla gloria, che pure fa parte integrante della fisionomia intellettuale dell’eroe, sono però le passioni più devastanti – l’ira per l’onore calpestato da Agamennone, l’angoscia per la perdita dell’amico, una furia omicida senza freni – e da ultimo un moto profondo di pietà a dettarne le reazioni e i comportamenti. D’altra parte, se la figura di Achille appare tutt’altro che unidimensionale, non c’è alcun indizio nel poema che il percorso compiuto da questo personaggio tratteggi un processo di crescita o di evoluzione (un simile movimento si profila semmai per il Telemaco dell’Odissea o per Enkidu nel Gilgamesh). Achille non si evolve né si modifica: «è un eroe che pensa in grande e per il quale non esistono sfumature di grigio» (Hainsworth). Le diverse situazioni e la catena di eventi che lo coinvolgono portano alla luce le diverse facce di una personalità tanto energica e appassionata quanto interiormente plastica (plastica non certo nel senso di poter scendere a compromessi, ma in quello di essere in grado di percorrere itinerari diversi). Così, anche se ogni volta ci sembra giungere all’acme di una determinata funzione della psiche fino al punto in cui – come ha scritto Serena Mirto – i suoi desideri, quando si augura di divorare crudo il corpo di Ettore (IliadeXII 345 ss.), «sprofondano nei recessi più oscuri della natura umana, nell’inquietante istinto di una violenza selvaggia», questo personaggio riesce pur sempre a varcare una serie di crinali che inizialmente appaiono invalicabili e che rischiano di bloccarlo in situazioni senza sbocco. Approdato infine al di là dell’ira, del dolore, della vendetta, ritrova nel padre del nemico ucciso l’immagine interiore del proprio padre lontano: ma con il presentimento insopprimibile di una fine imminente.

(Estratto da: testo accademico)