^^ ELOGIO DELLA FISICA QUALITATIVA         www.unipv.it/stefanini/index.html

Qualcuno forse lo sa. La comparsa delle “formule”: quand’è avvenuta. La prima formula in un libro di fisica dev’essere comparsa a metà settecento; non con Galileo e non con Newton, questo è certo. Infatti, le opere dei fondatori della fisica “quantitativa” non contengono formule. Invece, i nostri manuali scolastici ne sono pieni. Il processo di algebrizzazione della fisica scolastica non conta che qualche decennio, anche se, ultimamente, ha preso un andamento esponenziale. I manuali di fisica “ad uso dei giovani dei RR. II. Scolastici”, fino agli anni ‘60 del secolo scorso ricorrevano solo con grande parsimonia al linguaggio algebrico che, nei manuali odierni, ha un ruolo analogo a quello del solista nei cori: giustifica l’intervento pletorico dei problemi riportati in fondo al capitolo. I vecchi manuali italiani di fisica erano ispirati al modello che potremmo definire della “scuola tedesca”; dagli anni ‘70 il modello che si impose è quello della “scuola americana”. Molte cose si potrebbero imparare, sia sul piano strettamente disciplinare, che su quello didattico, confrontando i manuali di fisica prodotti per le scuole in epoche diverse. Potremmo, per esempio, scoprire che anche l’insegnamento della fisica non è un sistema adiabatico; ma si evolve sia in relazione alle micro-culture dominanti all’interno del sistema educativo locale, che in rapporto ai macro-sistemi culturali. Dicevamo che i vecchi manuali di fisica - quelli della Sezione Fisico- Matematica del vecchio Istituto Tecnico, soppressa dalla riforma Gentile - contenevano, a differenza di quelli di oggi, pochissima matematica. Da questa constatazione non discende, comunque, la conclusione che la preparazione degli studenti attuali sia superiore, per profondità e vastità, di quella degli antichi scolari. Nei vecchi manuali non vi era spazio per la trattazione dell’urto perfettamente elastico tra un fotone e un elettrone libero ( effetto Compton) che comporta la trattazione di un sistema di tre equazioni di secondo grado e, di conseguenza, per la varietà di problemi che si possono costruire variando la frequenza, gli angoli, le velocità. C’era, però, spazio per una quantità di cose che oggi sono scomparse, anche dall’orizzonte degli insegnanti. Parlo della fontana di Tantalo e di quella di Erone, delle lacrime di Batavia, degli emisferi di Magdeburgo, dell’effetto Leidenfrost, delle bottiglie di Leida e di Mariotte, delle bottiglie sintoniche, della bomba calorimetrica, del rocchetto di Ruhmkorff, dei risuonatori di Helmholtz. Vi era descritto l’epidiascopio, la lampada ad arco,la ruota di Barlow, il pendolo di Waltenhofen, l’apparecchio di Neumann, la macchina di Morin, l’apparecchio di Homann e il cannone di Grimsehl. Tutti nomi dimenticati nella manualistica scolastica, perché il punto di partenza e di arrivo di qualsiasi questione di fisica sono sempre e solamente le formule. L’aspetto più becero di questo modo di intendere la formazione culturale in fisica si manifesta nell’atteggiamento degli studenti che vogliono sapere quale sia “la formula” della gravitazione universale o dell’attrazione coulombiana o dell’effetto Doppler. Anche questo fenomeno didattico è collegato a più generali derive culturali che riguardano la natura della fisica e che nella scuola assumono aspetti di una disarmante ingenuità. Alla base vi è la convinzione che la fisica sia guidata dal “metodo scientifico” - la paternità del quale viene solitamente attribuita a Galileo: accusa da cui anche il Tribunale del Sant’Uffizio l’avrebbe mandato assolto - i cui principi qualche autore non esita ad elencare diligentemente. Pochi si rendono conto che sostenere l’esistenza di un “metodo scientifico” equivale a sostenere l’esistenza di un “metodo poetico”, che stabilirebbe le norme del “corretto poetare”. Sostengono questa diffusa convinzione alcune leggende che riguardano sempre Galileo a proposito di lampadari oscillanti e palle lasciate cadere da una torre. Pochi hanno consapevolezza che la teoria - espressa in linguaggio matematico - poggia su un vasto background di conoscenze qualitative, come sta a dimostrare, per esempio, la storia dell’elettromagnetismo che, attraverso il lavoro di Faraday, ha portato alla sintesi di Maxwell. Nell’attività didattica il problema è, comunque, che il linguaggio matematico dovrebbe servire ad esprimere concetti e non a fare da schermo alla loro intelligenza, come accade troppo spesso nell’insegnamento di qualsiasi livello. Si tratta di una sindrome che non è peculiare della scuola italiana; ma che da noi ha trovato terreno fertile, grazie alla debolezza degli anticorpi culturali. Basta sfogliare un manuale per i licei per trovarne esempi a volontà. Uno dei più classici è rappresentato dalla gravitazione universale. Newton avanza l’ipotesi ( l’ipotesi !) dell’esistenza di una misteriosa attrazione tra i corpi, anche se distanti centinaia di milioni di chilometri, sulla base della quale si può spiegare una quantità enorme di osservazioni. Si tratta di una scelta di estrema spregiudicatezza, che altri grandi ( tra cui Galileo) hanno preso in considerazione e rifiutato come una spiegazione che si limita a spostare il problema; cosa di cui lo stesso Newton è consapevole. Pure, nelle nostre scuole, la gravitazione universale è cosa di dieci minuti: l’importante è arrivare alla fatidica formula:

Questa sarà madre di decine di problemi nei quali il ruolo di incognita sarà recitato, a turno, dalle masse, dalla distanza e dalla forza. Un ruolo decisivo è giocato dal segno di uguaglianza: se la legge venisse enunciata parlando di proporzionalità dirette e inverse, il suo impatto sarebbe più modesto. Ma il fatto che la forza sia proprio quella che “viene fuori dalla formula” ha un effetto travolgente sullo spirito critico del ragazzo. Pochi, tra i compilatori di manuali, sentono il bisogno di avvertire che quel segno di uguale deve la sua esistenza al fatto che le unità di misura sono scelte proprio a questo scopo e che sarebbe altrettanto legittima la formulazione

E’ sempre questione di unità di misura. Comunque, questo è l’approdo di un viaggio che ha condotto gli insegnanti di fisica ad allontanarsi sempre più dal grande continente della filosofia. In modo ( superficialmente) molto americano, gli insegnanti di fisica sono stati educati ad ignorare che la fisica è “filosofia naturale” cioè riguarda il modo di rapportarsi dell’uomo con sé e con la realtà. A somiglianza di quei proprietari di pizzeria che aggiungono al nome un genitivo sassone ( da Mario’s) per non sentirsi provinciali; così nella scuola, le formule servono a far capire che il discorso è “scientifico”. Qualcosa di analogo a quel che fa l’insegnante che presenta il numero di Avogadro come se fosse un tutt’uno:
.
Invece, dovrebbe essere scritto nella forma

1023 X 6,022

per indicare il peso di conoscenze che le cifre significano. Così, a proposito della legge di gravitazione universale, la cosa più importante è l’ipotesi ( audace e incredibile) della gravitazione universale. Il secondo aspetto incredibile è che questa forza misteriosa ( Hypotheses non fingo) sia descrivibile con una relazione matematica tanto semplice. Il terzo aspetto incredibile è che tale forza sia regolata dalla massa ( inerziale!: nel mondo della meccanica classica non vive che una sola specie di massa ) : sarebbe come se la terra calcolasse la massa di un oggetto e lo attirasse in relazione diretta a questa. Chi non trova incredibile tutto questo, significa che non ha capito. L’evidenza sperimentale che, nella nostra scuola, la gravitazione universale non porti via più di una o due ore di lezione, non fa ben sperare in questo senso. Pertanto, nella prassi più diffusa di insegnamento, il linguaggio matematico, invece di essere perspicillo alla prospezione concettuale, da mezzo si è tramutato in fine che fa aggio su una più profonda comprensione. Le attività di laboratorio attualmente più diffuse e quasi imposte dalle indicazioni ministeriali sono riflesso di questa ingenua visione: che vi sia fisica solo laddove vi sono “le formule”. Per esempio, il modello di esperienza che si è affermato a partire dagli anni ‘70, trainato dai project americani e ripreso dalla diffusione dei computer, è quello che riconosce in una formula ( o, almeno, in un grafico) l’unico fine a cui deve tendere un’attività di laboratorio didattico. D’altra parte, che senso avrebbe osservare lanci di proiettili o “raggi di luce che incidono sulla superficie di separazione di due mezzi” sullo schermo di un computer se questo non conducesse ad una sintesi matematica: una formula col suo bel segno di uguaglianza? Certo sarebbe difficile trovare un utilizzo per il computer all’interno della seguente :
ESPERIENZA (1)
MATERIALI:
Una centrifuga per insalata
Nient’altro
Che domande ci si possono porre sul funzionamento ( nel duplice senso di fine e meccanismo dello strumento) di una comune centrifuga per insalata? Cominciamo col porre agli studenti la domanda: perché la centrifuga asciuga l’insalata? La stragrande maggioranza non ha mai guardato una centrifuga, anche se l’ha vista usare. Converrà quindi mostrane il funzionamento. Dopo di che, la maggior parte degli studenti risponderà che l’acqua abbandona l’insalata a causa della velocità. Questo è molto istruttivo perché mette in evidenza quanto sia difficile appropriarsi del concetto di accelerazione; e ancor più di accelerazione centripeta. La difficoltà nasce dal fatto che l’accelerazione è legata alla velocità. Asciuga meglio una centrifuga grande o una piccola ( a parità di velocità angolare) ? Perché la centrifuga è dotata di moltiplica? Qual è il valore del rapporto? Se una centrifuga è simile ad una bicicletta, come mai il cestello è più grande del disco azionato dalla manovella? Non dovrebbe essere il contrario?
L’unico errore che può fare l’insegnante, ma tale da vanificare l’efficacia dell’attività, è quello di “fare il professore” , cioè il depositario delle risposte. Il suo dovere è, al contrario, di cercare le domande, invece che le risposte. Alla fine - ma solo alla fine - può essere utile fare una stima della velocità angolare del cestello e dell’accelerazione centripeta sul bordo.

Non è assolutamente vero che la capacità di risolvere i problemi posti nel manuale in appendice ai capitoli sia, di per sé, segno di un innalzamento del livello culturale. Il fatto è che l’insegnamento è andato soggetto ad una sorta di processo di miopia, per cui si è dimenticato che la fisica (anche quella scolastica) ha a che fare con la realtà che è colta da tutti. Non è che per cogliere la realtà fisica uno deve recarsi nei Laboratori del Gran Sasso: ce l’ha a portata di mano. Questa consapevolezza non viene trasmessa ai futuri insegnanti. L’idea di fisica richiama enormi e misteriosi apparati e signori seduti davanti al onnipresente computer che si sforzano di trasmettere ai profani un sapere iniziatico. Alla costruzione di questa immagine, a cui certamente l’insegnante non corrisponde, ha provveduto l’industria culturale con la mitizzazione di alcuni personaggi, ed in rapporto a questa il sistema scolastico ha mostrato la propria estrema debolezza, incapace di proporre un’idea più profonda e articolata della cultura scientifica che non sia quella delle figurine Panini. L’idea prevalente, comune a insegnanti e studenti, è che a porre domande e fornire risposte sulla realtà fisica siano abilitati solo misteriosi personaggi che vivono in luoghi lontani e corrispondono in una lingua iniziatica: “Dicesi metro la distanza pari a 1 650 763,73 lunghezze d’onda della riga rosso-arancione emessa dall’atomo di Kripton-86”. Invece, non sarebbe male mostrare ai ragazzi un metro da sarto, e un litro e un chilogrammo. Inoltre, la maturità fisica di un insegnante o di uno scienziato non consiste tanto nel dare risposte, quanto nel vedere i problemi. Questo è vero per chi si occupa di alte energie come per chi va tutte le mattine a scuola, in qualsiasi veste. Il galileiano “ gran libro della natura” è aperto davanti a tutti.
ESPERIENZA (2)
MATERIALI
Una canna da pesca
Una canna da pesca ha l’estremità flessibile. Nella parte flessibile, poi, il diametro diminuisce progressivamente man mano che ci si avvicina alla punta. Il filo, com’é noto, è molto sottile, e si spezza facimente ( il suo carico di rottura, generalmente, è di qualche chilo).
Per quale motivo costruire canne da pesca flessibili? E perché , come si dice, “ a coda di topo”? Come mai un bravo pescatore riesce e catturare anche grossi pesci che pesano molto di più di quello che può sostenere la “bava” senza rompersi?

Un’indicazione alla quale dovrebbe ispirarsi l’azione educativa in fisica è stato indicato un secolo e mezzo fa da Maxwell: << It is very necessary that those who are trying to learn from books the fact of physical science should be enabled to recognize these facts when they meet with them out- of-doors. Science appears to us with a very different aspect after we have found out ... that we may find illustrations of the highest doctrines of science in games and gymnastics, in travelling by land and by water, in storms of the air and of the sea. This habit of recognizing principles amid the endless variety of their action ... tends to rescue our scientific ideas from that vague condition in which we too often leave them buried among the other products of a lazy credulity>>(+).
[(+) Citato da Arthur Koestler in “The Act of Creation”, pag.705]
Significa che il laboratorio a disposizione è immenso; il difficile è riconoscere i fenomeni per i quali abbiamo interpretazioni pre-giudiziali. Inoltre, corriamo il rischio di accorgerci quanto la dottrina di cui siano depositari sia un povero strumento nella descrizione della realtà. Un esempio banale è il seguente:
Le onde del mare arrivano sempre con una direzione che è parallela alla spiaggia, qualunque sia la direzione del vento. Anche le piccole increspature che si producono sulla superficie dell’ acqua delle pozzanghere, tendono a disporsi parallelamente ai bordi, indipendentemente dalla direzione del vento. Vi è una spiegazione per questo?
Ma spesso i problemi si nascondono in contesti che sono ritenuti scontati, come nella seguente:
ESPERIENZA (3)
MATERIALI
Una lampadina
Un pezzo di fil di ferro

L’ombra che i cavi “ della luce” proiettano sul terreno è grande. Si possono osservare, talvolta, sulle strade, le ombre dei cavi elettrici e, meglio, sulle piste da sci, le ombre dei cavi delle funivie. A volte sono grandi anche 30- 40 cm.
Ora, l’ombra proiettata da un filo è tanto maggiore quanto più è vicino alla sorgente di luce e lontano dal piano su cui si forma l’ombra. Un cavo è molto vicino allo schermo e infinitamente lontano dalla sorgente ( il sole); quindi l’ombra dovrebbe avere le dimensioni del cavo, cioè uno o due centimetri.
Anche un palo piantato in mezzo ad un campo di neve proietta un’ombra curiosa: le sue dimensioni trasversali aumentano al crescere della distanza dalla base.
Come si spiega il fenomeno?


Esempio fecondi di indagine qualitativa sono anche le seguenti:

ESPERIENZA (4)
MATERIALI
Una ruota da bicicletta ( e nient’altro)

Gli pneumatici sono costituiti da una camera d’aria di gomma elastica e dal copertone, di materiale molto rigido.
Ciò che si richiede ad uno pneumatico è (1) di mantenere il cerchione sollevato dal terreno; ma si richiede anche (2) che assorba facilmente le piccole disomogeneità del terreno.
a) Perché non utilizzare, come una volta, gomme piene?
b) Che relazione vi è tra le dette proprietà e la pressione di gonfiaggio?
c) Perché non mettere solo la camera d’aria? Dai disegni appare che Topolino sia ricorso ad una soluzione di questo genere per la sua bicicletta.
d) Non si costruiscono biciclette con ruote di diametro inferiore ad una certa lunghezza ( per es. di 20 cm). Eppure, si risparmierebbe sulla gomma e sul copertone. Perché non si fanno?
e) Le biciclette normali vengono gonfiate alla pressione di un’atmosfera ( circa). Gli pneumatici delle biciclette da corsa richiedono pressioni di 6 - 7 atm. Forse perché hanno una sezione minore?

ESPERIENZA (5)
MATERIALI
Un pattino
Un ventilatore
Un asciugacapelli
Ci si può divertire a costruire veicoli a reazione costituiti da un ventilatore (o da un föhn) montato su un pattino. Se si punta il getto contro una parete verticale (Fig.1), il veicolo parte velocemente.

Fig.1. Un veicolo a reazione.
a) E’ corretto dire che il carrello si muove perché “spinge” contro la parete?
La domanda è tutt’altro che banale: questo modo di vedere le cose è tra i più difficili da sradicare.
b) Se si toglie la parete, il veicolo si sposta ugualmente? E’ una domanda alla quale è facile dare una risposta dopo aver fatto l’osservazione. Ma prima?
Mettiamo di aver girato un film in cui si vede il carrello che viaggia verso destra mentre genera un vento che va verso sinistra e di proiettarlo alla rovescia. Si vedono le pale del ventilatore che girano in senso opposto e il carrello che viaggia contro vento. Potremmo simulare una cosa del genere mettendo un secondo ventilatore di fronte a quello che abbiamo collocato sul carrello, staccando quest’ultimo dalla presa di corrente. c) Le cose andranno come nel film proiettato alla rovescia?
Non è difficile praticare un foro al centro della scatola che contiene il ventilatore e far passare in questo uno spago, in modo che l’apparecchio rimanga orizzontale, come in Fig.2.

Fig.2. Un ventilatore appeso per uno spago.
Questo consente di appendere il ventilatore al soffitto o, semplicemente, di tenerlo sospeso con la mano. Quando si dà corrente, l’apparecchio si mette a girare intorno al proprio asse. d) Come si spiega questo comportamento? e) Come mai, normalmente, i ventilatori non girano su se stessi? f) Proporre alcuni modi attraverso i quali si possa determinare la velocità angolare delle pale. g) Come mai gli elicotteri non girano su se stessi?

Le attività proposte sono solo apparentemente “qualitative”, anche perché qualunque discorso sui fenomeni naturali non può prescindere dall’ordine di grandezza dei parametri in gioco. Quando rifletto sul funzionamento di una candela o di una bicicletta non posso fare a meno di stabilire, implicitamente, un intervallo di variabilità per le dimensioni, le pressioni, le velocità e le forze in gioco. Quindi neppure la fisica aristotelica è una fisica esclusivamente qualitativa: è più corretto dire che si riferisce a fenomeni nei quali gli ordini di grandezza sono dati per scontati. La capacità di argomentare in termini qualitativi può essere segno di maturità culturale molto più alta che non quella di risoluzione di problemi quantitativi. Una scuola i cui confini sono delimitati dal manuale e dal computer non può favorire la libera ricerca del senso delle cose, che è (dovrebbe essere) il fine dell’insegnamento della fisica. Arriverei a dire che anche questa espressione ( insegnamento della fisica) conduce a fraintendimenti. Si possono insegnare le tecniche ( come in letteratura e in musica) , ma non si può insegnare il piacere della poesia o della musica. Queste, comunque, esistevano anche prima delle scuole. Così, ci sarà sempre chi troverà misterioso e affascinante il funzionamento delle candele. Senza sapere di essere un fisico.

ESPERIENZA (6). Ombrello.

MATERIALI
Un ombrello
E’ noto che in Cina e in Giappone usano ombrelli fatti in modo simile a quelli diffusi in Occidente, se non per il fatto che sono piatti (Fig.3).


Fig. 3. Un ombrello a cupola e un ombrello piatto.
Indubbiamente, gli ombrelli a cupola sono più difficili da costruire e quindi più costosi; ma da noi sono i soli che si utilizzano. Individuare qualche motivo che rende preferibile l’ombrello a cupola rispetto a quello piatto. Per esempio, si costruisca un ombrello piatto di lamiera, di diametro paragonabile a quello di un ombrello normale, e se ne studi il comportamento in una giornata di vento.


ESPERIENZA (7)
MATERIALI
Un relé ( 12 V, uno scambio)
Tre fotoresistori ORP12 ( o analoghi)
Una batteria da 9 V
Una lampada da 40 W, 220 V
L’insegnante realizza il circuito di Fig.4.


Fig.4. FR = parallelo di tre fotoresistenze; R = relé; L = lampada 40 W, 220 V; 9V = pila.

La lampada é collocata in modo da illuminare, se accesa, la fotoresistenza. Si opera in condizioni di bassa luminosità nell’aula. Inizialmente la lampada è spenta, essendo aperto l’interruttore del relé. L’insegnante si avvicina alla lampada ( in realtà alla fotoresistenza) con un cerino acceso e la lampada si accende e resta accesa anche dopo che il cerino si è spento. La domanda, ovviamente, è: come accade questo?
Una presentazione alternativa è quella di collegare la lampada all’interruttore in apertura del relé. Conviene anche tenere la lampada più lontana dall’elemento fotosensibile. Il risultato è che la lampada comincia a lampeggiare ritmicamente. Come si spiega (qualitativamente) questo luminoso esempio di feed-back negativo?


LEDO STEFANINI, Dipartimento di Ingegneria, Via Scarsellini 2, 46100, Mantova