Non conosco la formulazione originale
Leggi di Faraday.
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Riunite in formula
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Se assumiamo come punto di vista l'interpretazione elettro-atomica moderna, allora e' un comportamento ovvio, addirittura identificabile con tale concezione della materia. A posteriori della conoscenza, e' un semplice conseguenza della struttura elettro-atomica della materia.
Quindi per poter dare rilevanza a tali leggi, bisogna immaginarsi i tanti modi in cui il fenomeno si sarebbe potuto svolgere diversamente.
Non dipende dall'intensita' di corrente, se la carica totale trasportata e' la stessa.
La deposizione al variare della sostanza, poteva svolgersi con regola diversa, ad esempio depositare la stessa massa espressa in grammi.
E' corretto-conveniente dire: la mole e' una unita' di misura della massa?
o e' meglio dire: la mole e' una unita' di misura della quantita' di materia?
o e' meglio dire: la mole e' una unita' di misura della quantita' di sostanza?
Distinguendo cosi' tra materia e massa?
Mi fa pensare che le reazioni chimiche sono di natura elettrica = sono reazioni elettriche.
http://www.cosediscienza.it/fisica/05_atomo.htm
L'interpretazione dei fenomeni di elettrolisi è piuttosto complessa ma a noi interessa solo osservare che durante il passaggio della corrente elettrica nella cella elettrolitica, si ha sempre comparsa o scomparsa di materia agli elettrodi. Michael Faraday, già nel lontano 1834, riassunse gli aspetti quantitativi di questo fenomeno in due leggi che portano il suo nome. Esse sono le seguenti:si facesse passare la corrente elettrica in una soluzione acquosa di nitrato di argento AgNO3, e in una di solfato di rame CuSO4, nel primo caso si noterebbe che al passaggio di 96.487 coulomb di elettricità si deposita al catodo una mole di argento (107,88 g), mentre, nel secondo caso, per fare depositare al catodo una mole di rame (63,54 g), servirebbe una quantità di elettricità doppia, pari cioè a 192.974 coulomb.
Ora, poiché i dati sperimentali mettevano in luce che un numero determinato di particelle, ad esempio quelle presenti in una mole (6,022·1023), trasportava una quantità determinata di elettricità, ad esempio 96.487 coulomb,
Lo scienziato inglese suppose che fossero i singoli atomi o le singole molecole a trasportare un ben preciso frammento di carica elettrica e a queste supposte particelle cariche di elettricità venne anche assegnato un nome. Esse vennero chiamate ioni (un termine che deriva dal verbo greco "hiemi" che vuol dire corro, mi affretto, a sottolineare la caratteristica mobilità di questi corpuscoli). Le cariche elettriche possono essere positive o negative: gli ioni con carica positiva sono detti cationi, perché durante l’elettrolisi si dirigono verso il catodo, quelli con carica negativa anioni, perché sono attratti dall’anodo.
Se l'intuizione di Stoney fosse corretta, la quantità minima di elettricità potrebbe venire determinata dividendo i 96.487 coulomb trasportati da una mole di materia per il numero di particelle contenute in essa, ossia per il numero di Avogadro. Si otterrebbe, in questo modo, il valore di 1,6·10-19 coulomb. Pertanto, un atomo (o un gruppo di atomi uniti insieme) trasporterebbe in soluzione la quantità di carica elettrica indicata sopra, o un suo multiplo. Ad esempio, l'atomo di argento porterebbe su di sé la quantità di carica pari esattamente al valore citato, mentre l'atomo di rame ne porterebbe una quantità doppia. Lo stesso Stoney propose il nome di elettrone per indicare la carica elettrica elementare (positiva o negativa) trasportata dagli ioni, quindi dette ad esso un significato diverso da quello che ha oggi l'elettrone.
Inizialmente si riteneva che fosse il passaggio della corrente elettrica a determinare la separazione (lisi) dei componenti della soluzione, ma successivamente, il chimico svedese Svante Arrhenius (1859-1927), analizzando a fondo i dati sperimentali, intuì che essi potevano anche essere interpretati immaginando che in soluzione, indipendentemente dal passaggio della corrente, fossero già presenti frammenti di materia carichi positivamente e negativamente. Con Arrhenius si faceva quindi strada l'idea che gli atomi non fossero entità indivisibili, ma strutture complesse, scindibili in frammenti più piccoli carichi di elettricità.
La teoria di Arrhenius prese il nome di "dissociazione elettrolitica" e rappresentò, per così dire, l'aspetto chimico dell'ipotesi della natura complessa dell'atomo. I risultati determinanti sarebbero venuti però dal lavoro dei fisici.
(*) La mole è la quantità in grammi di una sostanza pari al suo peso molecolare e corrispondente ad un ben determinato numero di particelle elementari.
Definizione elettrolitica dell'unita' di misura della carica elettrica.