^^Giorgio Nebbia, chimico, ecologista.

Giorgio_Nebbia

Nel 1968 scrissi delle dispense di Merceologia intitolate Risorse naturali e merci. Un contributo alla tecnologia sociale, un tipico termine mumfordiano. Tecnica al servizio dell’uomo, quindi, e non al fine del profitto, categorie che mi sembravano ben chiare. Va tenuto presente anche che erano gli anni della Populorum progressio del 1967, in cui v’è un passaggio che dice “Non basta promuovere la tecnica perché la Terra diventi più umana da abitare”: economia e tecnica al servizio dell’uomo.

 

Ad un chimico la prima cosa che insegnano è il principio di conservazione della massa che spiega che tutto quello che entra in un processo esce come prodotti utili e come rifiuti. Perché meravigliarsi se dopo un’esplosione nucleare i rifiuti radioattivi cadono sulla terra? Se dopo una sintesi le scorie finiscono nelle acque?

I limiti dello sviluppo

A me piacque, però lo considerai abbastanza scontato. Dato che la riserva di beni naturali è fisicamente limitata, è ovvio che, se si sottraggono beni dalle riserve della natura, questi, dopo essere stati “merce”, ritornano a contaminare i corpi naturali; così, se si sfrutta la fertilità del suolo, i raccolti diminuiscono; ma già Ciusa spiegava nelle sue lezioni Justus von Liebig (1803-1873) e il perché i concimi chimici fossero prodotti per rigenerare la fertilità del suolo; già Stanley Jevons (1835-1882) aveva spiegato che un giorno le riserve di carbone avrebbero potuto esaurirsi se si continuava a sfruttarle; già Alfred Lotka (1880-1949) e Vito Volterra (1860-1940), e altri autori che conoscevo perché mi ero occupato della dinamica della crescita e della concorrenza delle “popolazioni di merci”, avevano spiegato che una “popolazione” di animali o di cose non può crescere all’infinito e dopo un po’ si stabilizza; già Vladimir Kostitzin (1883-1963) aveva spiegato che non solo una popolazione si stabilizza, ma decresce perché i suoi rifiuti avvelenano l’ambiente vitale. I favolosi computer del Mit, usati per “scrivere” i grafici del libro del Club di Roma, non avevano fatto altro che riscrivere e rielaborare cose note, ma che in pochi sapevano o ricordavano: i rapporti fra economia, produzione, merci e degrado ambientale.

I biologi conoscevano le leggi ecologiche, ma non le associavano all’economia; gli economisti non conoscevano le leggi ecologiche. Era il tempo, finalmente, dell’incontro fra ecologia e economia.

 

Nel 1989 finiva il comunismo nel mondo, veniva ammainata la bandiera rossa che avevo visto anni prima sventolare sul Cremlino; nel febbraio 1991 finiva il Partito comunista. Col 1992 finiva il mio mandato in Senato e in Parlamento: ne avevo avuto abbastanza. Finiva una vecchia maniera di presenza politica tra la gente. Ricordo che nell’ultima iniziativa che feci, in Puglia, nella campagna elettorale del 1992, a cui partecipai a sostegno del nuovo partito, fui invitato a parlare in una discoteca, unica volta in cui ho messo piede in una discoteca: naturalmente nessuno ascoltava. Mi resi conto che un partito che, per adeguarsi, teneva i comizi in discoteca rappresentava un mondo finito: quel mondo di vecchi comunisti nelle sezioni operaie e contadine della Puglia, i vecchi compagni che erano stati al fianco di Di Vittorio, gli scaffali polverosi con qualche libro di Marx. Era finita anche per me.

L’unico ricordo bello di quei nove anni di vita parlamentare è stata l’amicizia dei compagni, sempre disponibili, generosi, disinteressati, rispettosi per “il professore”, affettuosi, instancabili nella campagna elettorale per un compagno che, in definitiva, era stato imposto dalla direzione nazionale, togliendo magari un posto a qualcuno di loro.
Sono quelli che ho conosciuto nelle decine di sezioni dei paesini che rimpiango di più.

 

Da dove nasce l’interesse per la storia? Ti ho già accennato che ogni volta che una persona deve conoscere, per una ricerca, che cosa è stato fatto prima, per forza deve ricostruire una “storia” del problema che sta affrontando.